L'AMORE, LA MOLESTIA SESSUALE, IL RICATTO

La paura di una comunicazione tonda: francamente intellettuale, consapevolmente emotiva e allegramente fisica


Non so generalizzare, non so parlare per le donne, ma posso raccontare di due mie storie d'amore cresciute in azienda in forma di bocciolo (per quelle fiorite non ci sono parole).

 

La prima è con un uomo dolcissimo, si muove molto delicatamente, da gran signore. Mi piace stare con lui e lui lo sa. Usa talvolta delle espressioni che avrei voluto usare io, mi accorgo che posso imparare facilmente da lui. Mi piace il suo ritmo, assorbo con allegria la sua presenza, anche a lui piace stare con me.

Un giorno mi prende la mano, amorevole, e fa per baciarmi. Era un piccolo gesto, attento e delicato.

Non ci siamo baciati, non lo volevo.

Anche il giorno dopo si è scusato, mi aveva offesa? Si rimproverava di essere stato invadente, chissà cosa avrei pensato di lui.

Nulla ho pensato di lui, e viceversa penso che sia proprio gradevole ascoltarlo e parlargli, mi piace che lui si prenda tutto lo spazio che gli lascio, così io sono io e lui è lui.

Ecco tutto.

 

La seconda storia è con un uomo marziano, siamo di un altro pianeta lui ed io, e mi diverto a stupirmi ogni volta di quanto ciò sia vero. Siamo forse due animali di specie diversa?

E' evidente per me (ma chissà se è evidente anche a lui) che ci comunichiamo affetto, ma io non lo capisco e lui non mi capisce. Sembriamo due ballerini che litigano per chi conduce, e all'altro non va mai bene la danza proposta. E' straordinario e ridicolissimo quanto inciampiamo uno sull'altro, siamo goffi e ogni tanto ci strattoniamo.

Non so imparare da lui: dopo aver passato un po' di tempo insieme ho l'impressione di essere stata sola, in un falso dialogo, come davanti alla TV.

Un giorno mi propone una danza che a me ricordava le scaramucce di quando si era alle medie e si diceva 'limonare', non ne avevo voglia e poi mi veniva da ridere mentre lui (forse, bò) era serissimo.

Ci capiamo talmente poco che ogni tanto ho l'impressione che lui mi riproponga la stessa danza. E a me viene sempre da ridere.

 

Provate ad immaginare le stesse storie con gli occhi di un normale sessuofobo, non dovrebbe essere difficile visto che come sessuofobi siamo stati allevati tutti: vedremmo uomini goffi che perdono la faccia, fastidiosamente dandy, se non addirittura irrispettosi, e, sullo sfondo, una donna troppo disinvolta o ingenua che si mette nei pericoli.

 

Ma ha senso considerare una persona poco rispettosa se desidera un contatto intimo o se lo comunica in modo diverso da come ci piace o in un momento in cui non siamo ricettivi?

 

Ha senso limitare la comunicazione per il timore di ricevere proposte di intimità?

 

Siamo o non siamo liberi di rispondere ad ogni comunicazione?

 

L'intento sessuale non fa di un atto una molestia.

 

Non credo che esista qualcosa come le molestie sessuali.

 

Ma esistono i ricatti, sono i casi in cui non si può dire di no senza subire gravi conseguenze. Sono i casi in cui è doloroso e costoso mantenersi liberi di rispondere.

 

Fra i ricatti quelli sessuali non sono né i più comuni né i più gravi, e vanno combattuti (decisamente) in quanto ricatti, non in quanto sessuali.

 

I ricatti hanno spesso la faccia di un individuo, e ancora più spesso quella invisibile di una struttura a cui ci siamo adattati e a cui contribuiamo più o meno inconsapevolmente.

 

Penso per esempio alle scelte forzate di rinunciare alla nascita di un figlio, di abdicare alla propria responsabilità di genitore perché non si ha abbastanza tempo da dedicare alla famiglia, all'inaridimento della propria formazione, e a tutti gli atti per i quali si posticipa il vivere perché 'si sta lavorando'.

 

La violenza dei ricatti è detestabile e l'abitudine al loro utilizzo va combattuta da tutti acquisendo consapevolezza individuale e sociale, attraverso nuove forme di comunicazione e di solidarietà.

 

Viceversa la fobia per il sesso, mentre demonizza la comunicazione sessuale, nasconde i ricatti contribuendo alla cecità verso di essi sollevando uno polverone di falso scandalo.

 

La paura della comunicazione tonda (vale a dire francamente intellettuale, consapevolmente emotiva e allegramente fisica) a me non sembra che sia utile a nessuno: né a me, né agli altri, né all'azienda, né al cliente. Non si diventa né più efficienti, né più felici coltivando questa paura.

 

A me piace l'amore, sempre, anche in azienda. Mi piace sentirmi libera e mi diverto ad imbarazzarmi, è quel che succede se ci si vuole godere la continua meraviglia di lavorare come persona intera fra persone intere, testa, cuore, corpi e sogni.