Emozioni e stranieritudine

conoscere l'offesa per conoscere le emozioni, per comunicare, per essere responsabile


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 (Fotografie di Valentino Candiani: Casa della Cultura di Milano, presentazione di Francesco Varanini e Haim Baharier del testo “Lavorare senza offendersi”)

 

Quanto tempo viene sperperato a causa di conflitti, incomprensioni, negoziazioni improduttive e altre disfunzioni comunicative?

 

E’ evidente che non sappiamo relazionarci, con gli altri e con noi stessi, come sarebbe necessario saper fare per considerarci buoni professionisti.

 

Eppure, nonostante sia evidente, spesso non riconosciamo l’incapacità relazionale come una vera incompetenza professionale, forse perchè ignoriamo che si può apprenderla: è possibile imparare ad utilizzare le emozioni per comunicare responsabilmente.

 

Come cominciare?

 

Per addentrarsi nello studio  delle emozioni è utile partire dall’offesa per tre motivi:

-  perché capire come è fatta l’offesa e come funziona è piuttosto semplice

-  perché l’offesa fa da modello per ogni altra emozione

-  perché, essendo l’offesa tanto potente e diffusa, è urgente imparare subito ad utilizzarla

 

L’offesa è sia causa che effetto di gran parte delle disfunzioni comunicative.

 

Offendersi è un automatismo che limita la possibilità di comunicare, crea danno, e impedisce di collaborare efficacemente: quando ci offendiamo non negoziamo costruttivamente, non condividiamo gli scopi di collaborazione e diventiamo irresponsabili, nel senso di non-abili-a-rispondere.

 

Inoltre, abituati ad offenderci, ci sentiamo obbligati al conformismo, ci alieniamo,  non lavoriamo per raggiungere obiettivi veramente nostri e finiamo per sentirci insoddisfatti.

 

Quando si conosce l’offesa ci si rende conto di quanta parte della comunicazione aziendale consiste in circoli viziosi legati all’offendersi. Non solo la gran parte delle chiacchiere, ma anche procedure, documenti, intere strutture, riunioni e altri riti, sono nati intorno a meccanismi di offesa.

 

Conoscendo a fondo l’offesa, e tenendola presente come modello, diventa poi possibile imparare ad utilizzare ogni altra emozione.

 

 

Cosa significa utilizzare le emozioni nella comunicazione?

 

Ogni emozione ci informa di come stiamo osservando. Uilizzarla significa sostanzialmente rispettarsi mentre ci si sente emozionati in modo da accorgersi di come si sta osservando, per condividere poi la realtà nella circolarità fra ciò che vediamo e come osserviamo.

 

Per le professionalità che richiedono di saper comunicare (per negoziare costruttivamente, condividere la realtà e coordinarsi per risponderle) essere in grado di esplicitare questa circolarità è fondamentale.

 

Il percorso per imparare ad utilizzare le emozioni si svolge su tre livelli:

-   Riconoscere cosa sia e come funzioni un’emozione

-   Imparare a risalire da questa ai suoi presupposti

-   Imparare a negoziare i presupposti

 

Per attraversare i tre livelli si fa attenzione ai propri automatismi emozionali disfunzionali, di cui l’offesa è una matrice.

 

 

Cosa accade quando ci emozioniamo?

 

L’emozione è un processo che emerge da una struttura di presupposti e da un sistema di relazioni che limita e dirige l’attenzione.

 

L’emozione ci cattura quando limitiamo la nostra attenzione all’interno dei suoi presupposti: quando siamo emozionati non ci accorgiamo dei presupposti su cui si fonda la nostra emozione, di conseguenza non esploriamo oltre i suoi confini e, rimanendo ciechi rispetto a ciò che le è estraneo, senza accorgercene la assumiamo come realtà.

 

Di fatto, quando siamo emozionati, reagiamo all’emozione e non alla realtà. (Qui si intende per “realtà” quella cosa che emerge da tentativi collettivi di coordinamento, così “emozione” viene compresa come la condizione in cui ci si sottrae dal processo di condivisione/costruzione della realtà e si assumono passivamente i presupposti del contesto).

 

L’emozione emerge dunque da una trance, una relazione in cui l’attenzione è limitata, catturata.

 

Abbiamo l’impressione di “cogliere” il significato quando è questo che “ci ha colti”, quando cioè la nostra attenzione e il significato sono limitati nella trance.

 

La struttura della trance è definita dai suoi presupposti, che sono le credenze e i criteri di valutazione su cui si fonda.

 

Spesso per paura, o per abitudine che è lo stesso, sentiamo il folle bisogno di cogliere definitivamente il significato, e allora confondiamo i presupposti con i limiti della realtà esplorabile, perdendo la possibilità di parteciparla responsabilmente.

 

Se riconosciamo noi stessi e la realtà entro i limiti dell’emozione ci sentiremo spinti a incarnarla, a impersonarla.

 

Ma possiamo imparare ad osservare l’emozione da una posizione percettiva di ri-spetto, coinvolta e contemporaneamente straniera.

 

In questo modo possiamo accorgerci di come guardiamo e partecipiamo la realtà, prima riconoscendo i presupposti che assumiamo per limitare la nostra attenzione, e poi negoziandoli esplicitamente per condividere la realtà.

 

Una volta guadagnata questa posizione percettiva, il nostro emozionarci ci apparirà come una recita.

 

Così, riconoscendo che non siamo obbligati a recitare guadagnamo libertà, dandoci alternative di risposta guadagnamo responsabilità, e condividendo consapevolmente i nostri presupposti guadagnamo potere di influenza. 

 

 

 

Conclusioni

 

Osservando il nostro emozionarci per accorgerci dei presupposti che assumeremmo automaticamente, troviamo il modo di utilizzare le emozioni per comunicare e riconoscere la nostre identità, invece che sprecarle e creare danni nel tentativo di negarle, controllarle o soffocarle.